LSD
E MDMA: EFFETTI TOSSICOLOGICI E COMPORTAMENTALI
Giovanni
Giannelli (1), Gianluca Smeraldi (2), Lidia
Agostini (3), Marusca Stella (3)
(1) Psichiatra. Primario
in Medicina delle Farmacodipendenze, (2) Psicologo, (3)
Psicologa. Specializzata in Dipendenze Patologiche.
Pubblicato
sul Bollettino degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
della Romagna n. 2, 1998
Pubblicato
col titolo di "La LSD e la MDMA: tossicologia ed effetti comportamentali",
in A.A.V.V., Dipendenze e Sostanze d'abuso, a cura dell'Ordine dei
Farmacisti della Provincia di Forli', 1998.
LSD
La dietilamide dell'acido lisergico (LSD) appartiene
a quella categoria di sostanze psicoattive che va sotto il nome di
sostanze psichedeliche. L'assunzione di tali droghe induce una distorsione
nella percezione del tempo e dello spazio e fenomeni paradossali a
carico della percezione visiva ed uditiva, vere e proprie allucinazioni.
L'LSD non è l'unica droga psichedelica, ma i suoi effetti sono fra
i più potenti [1]. Gli effetti psichedelici dell'LSD furono scoperti
nel 1938 da Albert Hoffman incidentalmente. Negli anni fra il 1950
e il 1960 fu usata dagli psichiatri per la psicoterapia analitica,
in quanto si pensava che l'LSD aiutasse il paziente nella rievocazione
di ricordi repressi, mentre poteva guidare gli psicoterapeuti ad una
maggiore empatia con il paziente, in esperimenti di auto-somministrazione.
Dal 1960 l'LSD è diventata diffusa come droga cosiddetta ricreazionale:
un recente rapporto della CNN (Cit. in [13]) rivela che il 4.4 % di
scolari di ottavo grado hanno fatto uso di LSD almeno una volta.
Gli effetti soggettivi derivanti dall'assunzione
di LSD sono variabili in funzione di diversi fattori: il contesto,
la personalità, le aspettative e la dose assunta. In taluni casi si
possono verificare episodi psichiatrici avversivi, i cosiddetti 'bad
trip', caratterizzati da reazioni di panico ed episodi psicotici.
Nonostante la spiccata variabilità individuale
del quadro sintomatico, è possibile classificare gli effetti dell'LSD
in effetti somatici, psicologici, cognitivi e percettivi:
- effetti somatici:
midriasi, iperglicemia, ipertermia, erezione pilifera, vomito, lacrimazione,
ipotensione, ritmo respiratorio stimolato a basse dosi e depresso
ad alte dosi, tachicardia.
- effetti psicologici:
allucinazioni, depersonalizzazione, rievocazione di ricordi repressi,
variabilità dell'umore dipendente dal contesto, euforia, megalomania,
stato schizotipico e aumento della suggestionabilità.
- effetti cognitivi:
disturbi dei processi di pensiero, difficoltà ad esprimere i propri
pensieri, dissociazione nel ragionamento e dissociazione di memoria
(difficoltà ad integrare la memoria a breve termine con quella a
lungo termine).
- effetti percettivi:
abbassamento della soglia di sensibilità agli stimoli ambientali,
distorsione della percezione visiva ed uditiva, sinestesia (più
modalità sensoriali attivate insieme) e distorsione della percezione
del tempo.
Effetti acuti
L'LSD interagisce con il sistema dei neuroni serotoninergici
(5-HT) [2, 3], aumentando il livello di serotonina a livello del locus
coeruleus e dei nuclei del rafe.
Il Locus Coeruleus (LC) è una piccola struttura
neurale nel ponte, in prossimità del quarto ventricolo, formata per
la maggior parte da neuroni noradrenergici. Proietta a molte regioni
cerebrali, incluse il talamo, l'ipotalamo, il cervelletto, la corteccia
cerebrale e l'ippocampo [6]. Il LC è parte del sistema reticolare
ascendente attivante, coinvolto nella regolazione dell'attenzione,
dell'arousal e del ciclo sonno-veglia. Una stimolazione elettrica
del LC determina una iper-reattività agli stimolo sensoriali visivi,
uditivi e tattili. L'LSD aumenta la reattività del LC alla stimolazione
sensoriale [9]. Tale effetto dell'LSD sembra essere indiretto [4].
Infatti la somministrazione di LSD nel LC non causa una scarica neurale
spontanea e non aumenta la reattività dei neuroni del LC ad acetilcolona,
glutammato e sostanza P [5].
I nuclei del rafe (NR) sono nuclei situati intorno
alla linea mediana del bulbo e sono nuclei di proiezione serotoninergica:
l'alterazione funzionale a carico dei NR sembra avere importanti ripercussioni
sistemiche. I NR innervano il cervelletto, così come il LC, esrercitando
presumibilmente un'azione modulatoria diffusa. Inoltre proiettano
alla corda spinale, coinvolta nella regolazione del dolore. Anche
i NR, come il LC, sono parte della formazione reticolare ascendente
ed hanno un ruolo primario nell'induzione del sonno: una loro distruzione
provoca la perdita selettiva e permanente di sonno REM [6]. Il sistema
serotoninergico (5-HT) inibisce il traffico ascendente attraverso
la formazione reticolare, probabilmente per proteggere le strutture
cerebrali dal sovraccarico di stimolazione derivante dagli stimoli
sensoriali. Inoltre esercita un'azione inibitoria a carico delle aree
visive. E' ipotizzabile che una deplezione di serotonina determini
un'eccitazione diffusa a carico delle strutture cerebrali che processano
l'informazione sensoriale. Di conseguenza, sul piano comportamentale,
si determinerebbero distorsioni sensoriali ed un'errata interpretazione
percettiva dello stimolo. L'LSD, pertanto, potrebbe essere coinvolta
nella regolazione dell'attività del 5-HT. L'attività del NR è influenzata,
inoltre, dall'attività di neuroni GABAergici, catecolaminergici ed
istaminergici; l'LSD ha una spiccata affinità con i recettori di tali
neuroni.
Nonostante sia possibile che l'effetto dell'LSD
sia indiretto, cioè mediato da altri sistemi oltre a quello 5-HT,
la ricerca si focalizza sugli effetti dell'LSD sull'attività 5-HT
[9].
L'LSD determinerebbe un'inibizione presinaptica
dei neuroni 5-HT. I neuroni dei NR sono autoreativi: ciò significa
che scaricano a ritmi regolari spontaneamente, in modo indipendente
da stimolazioni esterne. Tale attività spontanea permane anche quando
i NR sono isolati dal resto del cervello e quando vengono rimossi
gli ioni Ca++, bloccando in tal modo la trasmissione sinaptica. Pertanto
è ipotizzabile che il ritmo della scarica spontanea sia regolato da
qualche tipo di retroazione presinaptica. Infatti i neuroni serotoninergici
dei NR hanno un tipo di retroazione negativa sugli autorecettori.
Ciò significa che aumentando il livello di serotonina nei NR, diminuisce
l'attività dei neuroni serotoninergici, con conseguente diminuzione
dell'attività spontanea dei NR. Di conseguenza l'azione inibitoria
modulatoria sui sistemi cerebrali a cui i NR proiettano diminuirebbe
provocando le conseguenze sul piano comportamentale già descritte.
Comunque il ritmo dell'attività spontanea è influenzato anche da altri
neurotrasmettitori [6].
La somministrazione sistemica di LSD inibisce
la scarica spontanea dei NR [9]. L'ipotesi è che la droga provochi
un aumento di 5-HT a livello dei NR e che, di conseguenza, si inneschi
il meccanismo della retroazione negativa che porterebbe ad una depressione
dell'attività dei NR stessi.
Tale ipotesi è stata messa in crisi da alcune
osservazioni. Per prima cosa basse dosi di LSD determinano conseguenze
sul piano comportamentale, ma non deprimono la scarica spontanea dei
NR [7]; l'uso continuato di LSD determina tolleranza per quanto riguarda
gli effetti comportamentali, pur rimanendo invariato l'effetto funzionale
sui NR. Altre osservazioni all'ipotesi si possono trovare in [7, 8].
Le altre ipotesi sul meccanismo d'azione tossicologica
dell'LSD si basano sull'osservazione che la droga ed altri allucinogeni
sembrano avere un'elevata affinità con i recettori post-sinaptici
5-HT1 e 5-HT2. In altre parole l'effetto dell'LSD sull'attività dei
neuroni 5-HT sarebbe sui recettori 5-HT1 e 5HT2. Mentre esistono evidenze
che l'LSD sia 5-HT1 agonista, si è ancora oggetto di dibattito se
gli effetti sul recettore 5-HT2 sia agonisti o antagonisti [8, 9].
E' possibile anche che l'effetto dell'LSD sul
sistema serotoninergico sia indiretto, mediato dalle vie adrenergiche
o dopaminergiche. In realtà, bloccando i recettori di tali neuroni
attraverso la somministrazione di antagonisti specifici, non si modifica
l'attività dell'LSD sul sistema serotoninergico [9].
Effetti cronici
L'assunzione continuata di LSD determina, sul
piano comportamentale, una tolleranza a tutti gli efetti indotti dalla
droga [10]. In base alla teoria che l'LSD agisca sui recettori 5-HT1
e 5-HT2 ciò potrebbe essere spiegato come una desensibilizzazione
di tali recettori all'effetto della sostanza psicoattiva.
Non vi sono evidenze di una sindrome d'astinenza
[11], dopo cessazione dell'assunzione. Nel 23% dei casi, l'interruzione
dell'assunzione di LSD determina fenomeni comportamentali di flashback
che permangono anche dopo molto tempo [12]. Ciò apre la strada ad
ipotesi sulla causa del permanere di tali effetti comportamentali.
E' possibile che siano legati alla dipendenza, cioè alla modificazione
adattiva che si verifica a livello neuronale per far fronte allo squilibrio
chimico conseguente a somministrazione acuta della sostanza. In altre
parole è possibile che i fenomeni di Flashback siano i sintomi dell'astinenza
[10].
MDMA
La MDMA (+ - 3, 4-Metilenediossimetamfetamina),
detta anche Ecstasy, X, E, XTC, Adam ecc., è una droga che si presenta,
nella sua forma pura, come una polvere cristallina. Fu sintetizzata
nel 1917 dai laboratori Merk, come sostanza in grado di sopprimere
l'appetito. A causa dei suoi effetti collaterali psicoattivi, non
fu mai commercializzata come farmaco. La sua diffusione come droga
ad uso 'ricreativo' inizia negli anni sessanta - settanta, ma è dall'inizio
degli anni ottanta che incomincia a diffondersi in modo massiccio.
Dal 1985 è fuorilegge negli Stati Uniti (Tabella I della DEA) e più
o meno dagli stessi anni diviene fuorilegge anche in Europa. E' una
droga ibrida, un incrocio fra la mescalina, un allucinogeno, e l'amfetamina,
uno stimolante [13].
L'assunzione di MDMA avviene nella quasi totalità
dei casi per via orale, atraverso 'pasticche', il cui contenuto medio
varia da 75 a 150 mg di MDMA. Gli effetti fisici e comportamentali
si manifestano dopo circa 30 minuti dall'ingestione e si protraggono
fino a sei ore [14]. Tali effetti sono dovuti ad una stimolazione
generalizzata del sistema nervoso centrale (SNC) e del sistema nervoso
autonomo (SNA) e includono euforia, ipereccitabilità, nervosismo,
battito cardiaco accelerato, insonnia, anoressia, bruxismo e midriasi.
Alcuni degli effetti appena descritti somigliano a quelli derivanti
dall'assunzione di amfetamina. Paradossalmente tali effetti si acompagnano
a un senso di benessere e di rilassateza e ad alcuni effetti psicologici
positivi. Gli effetti entactogeni, che significa la sensazione che
tutto sia giusto e buono, portano ad una visione delle cose sotto
una prospettiva migliore ("le montagne dietro casa non erano
mai state così" [15]). Gli effetti empatogeni conducono ad una
sensazione di essere in sintonia con gli altri e di una minore difficoltà
nei rapporti interpersonali ("sembra di sapere esattamente cosa
dire e quando dirlo" [15]. Gli effetti psichiatrici comprendono
la capacità di vedere i propri problemi sotto una luce diversa ("...pareva
che la natura, e talvolta anche la soluzione ai miei problemi fosse
ovvia" [15]). Nonostante la MDMA non sia classificata come sostanza
allucinogena, la sua assunzione può determinare anche distorsioni
sensoriali. Talvolta si possono verificare anche effetti psciatrici
negativi, come depressione, psicosi e attachi di panico. Infine si
possono osservare effetti sul sonno, caratterizzati da una significativa
diminuzione di sonno totale e non-REM nei consumatori di MDMA [16],
e gli effetti cognitivi sulla memoria e sul ragionamento logico-matematico
[17], di cui si parlerà in seguito.
Per la sua capacità di indurre tali sensazioni,
la MDMA è stata usata dagli psichiatri per anni prima che divenisse
illegale. Si pensava che i pazienti, assumendo MDMA, sarebbero stati
facilitati a raggiungere l'insight [13]. Ingrasci (Cit. in [13]) sosteneva
di aver somministrato la MDMA a 250 pazienti e che la droga eliminava
l'ansia ed abbatteva le difese individuali ed in tal modo il paziente
perveniva all'insight.
Effetti acuti
L'azione acuta della MDMA sul sistema nervoso
centrale è caratterizzata da una stimolazione della produzione di
serotonina (5-HT) [10] e l'interazione con i sistemi dopaminergico
e noradrenergico [24, 25]. L'effetto sul sistema serotoninergico appare
preminente [18]. La serotonina gioca un ruolo specifico nella regolazione
del sonno, umore, ansia, dolore, comportamento aggressivo, memoria
ed appetito [17]. Pertanto gli effetti acuti sul piano psico-comportamentale
rispecchiano un'interazione con la serotonina a livello biochimico.
In particolare gli effetti cognitivi possono essere valutati secondo
un approccio neuropsicologico. Alcuni autori hanno evidenziato problemi
cognitivi connessi al ragionamento matematico [19]. I deficit cognitivi
potrebbero non essere primari: secondo alcuni autori l'assunzione
di MDMA determinerebbe un calo della motivazione a svolgere tali compiti
[20]. Lo studio di Curran e Travil [17] mette in evidenza due tipi
di deficit cognitivi dei consumatori di MDMA rispetto ad un gruppo
di controllo costituito da alcoolisti. Il primo consta di un calo
della performance con il test dei "serial sevens", che consta
nel fornire un numero al soggetto e questi deve sottrarre sette unità
da tale numero, poi altre sette unità dal numero risultante e così
via. Il secondo è una prestazione minore del ricordo immediato e differito
nel test della "memoria di prosa", che consiste nella lettura
di una breve storia e nella richiesta al soggetto di ricordarla immediatamente
o dopo un periodo di tempo durante il quale il soggetto è impegnato
in un compito interferente. Considerando il tipo di azione tossicologica
della MDMA si può tentare di formulare un'ipotesi neuropsicologica,
da verificare in fase sperimentale. Dato che la MDMA interagisce con
i neuroni serotoninergici che dai nuclei del Rafe proiettano alla
corteccia prefrontale [13], è possibile che il calo della performance
in compiti cognititivi che coinvolgano ragionamento logico-matematico
e memoria in realtà siano secondari a problemi di pianificazione o
di attenzione. La funzione di pianificazione è generalmente ascritta
al lobo frontale, mentre deficit attentivi si verificano in seguito
a lesioni fronto-parietali. La ricerca, in questo senso, potrebbe
indagare le prestazioni dei soggetti consumatori di MDMA con test
neuropsicologici di pianificazione (per esempio il test della torre
di Londra) o test di attenzione (come il Posner). L'eventuale ritrovamento
di significatività ci permetterebbe di comprendere meglio il rapporto
fra funzioni mentali e strutture cerebrali, in linea con gli obiettivi
della teoria neuropsicologica.
E' altresì possibile che i deficit cognitivi siano
secondari alla sindrome di "hangover", caratterizzata da
stancheza, affaticabilità ed insonnia [21], che si verifica dopo la
scomparsa del quadro sintomatico acuto. In uno studio informale [13],
il 30% di 369 studenti riportarono astenia e dolori muscolari, mentre
il 20% riportò depressione e difficoltà a concentrarsi. Tali sintomi
peggiorano più ci si allontana temporalmente dal momento dell'assunzione
della droga, in cui i soggetti consumatori di MDMA, dopo cinque giorni,
mostrano di essere più scontenti, più tristi ed annoiati in una valutazione
con la Mood Rating Scale [17]. In questo senso le prestazioni cognitive
potrebbero essere influenzate dal calo di motivazione.
Effetti cronici e neurotossicità
A livello sintomatologico si assiste ad una forma
di tolleranza progresiva agli effetti positivi e ad una sensibilità
progressiva a quelli negativi, in funzione del tempo di assunzione
[10].
L'azione cronica della MDMA si esplica, a livello
neurale, con un'azione neurotossica che porta alla progressiva degenerazione
delle fibre che partono dal nucleo del rafe dorsale e proiettano alla
corteccia prefrontale. Una serie di studi su roditori e primati dimostrano
che l'utilizzo di MDMA porta alla distruzione di specifiche popolazioni
di cellule neurali che utilizzano la serotonina come neurotrasmettitore.
Non esistono studi che affermino con chiarezza se ciò avvenga anche
per l'uomo. Peroutka (Cit. in [13]) afferma che si può omministrare
una dose pari a 10.000 volte la dose media umana di LSD ad un ratto
e non si osserva neurotossicità, ma basta una dose di MDMA pari a
tre volte la dose media umana somministrata ad un primate, che si
osserva un danno neuronale indicatore di neurotossicità.
La neurotossicità, il cui sintomo principale è
la diminuzione dell'attività 5-HT in funzione del tempo di assunzione
della MDMA, può essere bloccata attraverso la somministrazione di
antagonisti per i recettori 5-HT2 [22]. Infatti somministrando ritanserina
e MDL 11, 939 (antagonisti per i recettori 5-HT2), la riduzione di
5-HT e di triptofano-iddrossilasi viene bloccata. Lo studio mette
in evidenza, inoltre, che i 5-HT2 antagonisti interferiscono anche
con la sintesi di dopamina conseguente all'assunzione di MDMA, determinando
una riduzione di tale sintesi. Probabilmente ciò è dovuto all'interferenza
a carico della modulazione serotoninergica della sintesi di dopamina
[23].
Altri studi [24] mettono in evidenza come la somministrazione
di MDMA porti ad un maggior rilascio sia di serotonina (5-HT) che
di dopamina (DA); la ricerca mostra che l'isomero destrogiro (+),
sia della MDA che della MDMA, è più potente del levogiro (-) nel determinare
questo effetto. Inoltre la fluoxetina (inibitore della riassunzione
presinaptica di 5-HT) è in grado di bloccare il rilascio di 5-HT indotto
dalla MDMA.
La MDMA determina anche un rilascio maggiore di
Norepinefrina, oltre che di 5-HT e DA. La stimolazione della sintesi
di norepinefrina sarebbe diretta, non modulata dall'aumento del rilascio
di 5-HT o di DA [25].
Alcuni studi focalizzano l'attenzione sugli effetti
degli inibitori della riassunzione di 5-HT in relazione ai danni neuronali
indicatori di neurotossicità. Per esempio Hashimoto [26], somministrando
6-nitro-quipazina, noto come inibitore della riassunzione presinaptica
di 5-HT, entro tre ore dall'assunzione di MDMA, riportò unattenuazione
degli effetti neurotoissici. Inoltre lautore dimostrò come sia
possibile monitorare attraverso rilevazioni autoradiografiche la quantità
di siti di recupero presinaptici 5-HT, utilizzando la 6-nitro-quipazina
come radio-legante; la riduzione della densità di tali siti è indice
di neurotossicità. Pertanto le sostanze che si legano ai siti di recupero
5-HT possono essere usate per la valutazione del grado di neurotossicità
a carico dei neuroni 5-HT. Anche altre sostanze, come la (3H)paroxetina
è stata utilizzata per la valutazione della perdita di siti di recupero
di 5-HT, sia in vitro [25] che in vivo [27] come legante per la PET
(tomografia ad emissione di positroni). In realtà la scelta della
deplezione di 5-HT o dei siti di recupero presinaptici come misura
della neurotossicità può influenzare le conclusioni. Per esempio McKenna
e Peroutka [28] non trovarono effetti neurotossici nei ratti dopo
la somministrazione di 4 dosi di 10 mg/Kg ciascuna, quando l'indice
era la diminuzione dei siti di recupero presinaptici 5-HT, mentre
bastavano due dosi per 10 mg/Kg per determinare neurotossicità quando
l'indice misurato era la riduzione di 5-HT a livello cerebrale.
Come si è detto, la somministrazione di fluoxetina
dopo l'assunzione di MDMA blocca gli effetti neurotossici. Inoltre,
gli effetti neurotossici vengono annullati pur rimanendo gli effetti
comportamentali praticamente invariati [29]. Ciò porta ad avanzare
l'ipotesi che gli effetti psicoattivi della MDMA possano essere separati
dalla sua azione neurotossica.
Uno studio mirato ad indagare gli effetti della
neurotossicità sul comportamento nei ratti rivela che gli effetti
della neurotossicità sul comportamento possono essere diversificati.
I ratti venivano addestrati a discriminare la MDMA da una sostanza
neutra. Inoltre si valutava la preferenza spaziale condizionata per
un luogo indotta dalla MDMA. La droga produce preferenza spaziale
condizionata a dosi di 1.5mg/Kg, determinando il tempo che l'animale
passa nel luogo associato alla MDMA. La somministrazione seguente
di dosi neurotossiche determina attenuazione della capacità del ratto
di discriminare la droga da altre sostanze, mentre non ha alcun effetto
nella preferenza spaziale.
Sebbene esista una gran varietà di studi che dimostrano
la neurotossicità conseguente all'assunzione di MDMA negli animali
(ratti, topi e primati), non è ancora chiaro se tale tipo di danno
si verifichi anche per l'uomo. Diversi fattori contribuiscono a rendere
la neurotossicità più o meno ingente ed uno di questi è proprio la
specie di appartenenza. In uno studio comparativo, Richaurte et al.
[32] misurarono il livello di 5-idrossiindolacetico (5-HIIA), un metabolita
del 5-HT, nel liquido cerebrospinale (CFS) delle scimmie, notandone
una diminuzione del 60% dopo l'esposizione a 8 dosi di 5 mg/Kg ciascuna.
Il livello cerebrale di 5-HT era diminuito del 94%. La stessa dose
nei ratti provoca solo il 40% di riduzione di 5-HT nel cervello. E
difficile dire quali conseguenze abbiano le evidenze che mostrano
una sensibilità specie-specifica agli effetti della MDMA per la valutazione
sull'uomo. Certo è che la dose media tipica dell'uso ricreazionale
nell'uomo è nell'ordine dei 100-150 mg; per una persona di 75 Kg questo
corrisponde ad una dose di 1.3 - 2.1 mg/Kg, il che è circa la metà
della dose minima in grado di provocare neurotossicità nei primati.
Gli studi sull'uomo giungono spesso a risultati
contraddittori. Per esempio una ricerca di Peroutka et al. [30] conclude
che non vi è nessuna differenza del livello di 5-HIIA nel CFS, fra
un gruppo di consumatori di MDMA e ciò che viene indicato in letteratura
come il livello medio della concentrazione del metabolita. Tale conclusione
sarebbe indicatore dell'assenza di neurotossicità, se non fosse per
lo studio di Ricaurte [31] che compara il livello dei metaboliti 5-HIIA,
HVA e MHPG nel CFS di 33 soggetti precedentemente esposti a MDMA confrontato
con quello di un gruppo di controllo formato da pazienti sottoposti
a mielografia per il dolore lombare. I risultati mostrano un livello
significativamente inferiore (p<0.05) di 5-HIIA ma non degli altri
metaboliti. I risultati di tale studio indicano la presenza di effetti
neurotossici.
Le conseguenze funzionali a lungo termine connesse
alla neurotosicità non sono sostanziali nei primati. Nell'uomo le
conseguenze psico-comportamentali derivanti dall'uso continuato di
MDMA in generale corrispondono a quelle negative che si verificano
dopo assunzione acuta, indicanti una spiccata sensibilità a tali sintomi
che aumenta in funzione del tempo di assunzione. I soggetti che hanno
utilizzato MDMA per diverso tempo possono andare incontro a conseguenze
di tipo psicopatologico [21]. Alcuni soggetti mostrano cambiamenti
dell'umore, stati psicotici con deliri di varia tipologia, depressione,
disturbi del sonno, aumento del nervosismo, perdita dell'appetito
e 'craving' (lett. "abbuffarsi") per i carboidrati, soprattutto
per il cioccolato. Tali sintomi sembrano essere legati al tipo di
modificazione biochimica che l'MDMA provoca a livello neuronale. La
teoria che alcune turbe psichiche, come quelle psicotiche o depressive,
siano originate da una disfunzione chimica a livello neuronale [6]
si adatta bene come modello interpretativo del quadro sintomatico
conseguente all'uso cronico di MDMA. Per esempio esistono diverse
evidenze [6] che la depressione sia associata ad una modificazione
funzionale a carico del sistema noradrenergico, mentre la psicosi
sarebbe legata ad una modificazione funzionale del sistema dopaminergico.
Inoltre la serotonina, come si è detto, appare implicata in vario
modo nei meccanismi di regolazione dell'attenzione, dell'arousal,
dell'appetito e del ciclo sonno-veglia. Dato che gli studi riportati
sopra rivelano un'interazione della MDMA con il sistema delle amine
biogene ci permette di ricondurre gli effetti derivanti dall'assunzione
cronica di MDMA a tale sistema.
Le considerazioni sugli effetti neuropsicologici
non possono che rimanere a livello di ipotesi. Gli studi in questo
senso sono tuttora pochi [17]. Si può effettuare un'ipotesi: in linea
con l'obiettivo della neuropsicologia di comprendere la relazione
fra le funzioni mentali ed i correlati anatomo-fisiologici, è possibile
ipotizzare che la degradazione neuronale a seguito di neurotossicità
indotta da MDMA determini deficit neuropsicologici abbastanza selettivi.
Infatti, se dimostrata definitivamente anche nell'uomo, la degradazione
delle terminazioni serotoninergiche che vanno dal nucleo del rafe
dorsale alla corteccia prefrontale attraverso il sistema limbico potrebbe
avere ripercussioni a carico di alcune funzioni cognitive, come la
memoria [17], l'attenzione e la pianificazione. L'assunzione cronica
di MDMA ha importanti effetti anche sul sonno. Lo studio di Allen
e coll. [16] parte dall'ipotesi che, essendo la serotonina coinvolta
nella regolazione del sonno, i consumatori di MDMA dovrebbero avere
un decremento di qualche fase del sonno dovuto alla deplezione di
dopamina a seguito di assunzione cronica. Gli autori trovarono che
i consumatori di MDMA mostravano meno sonno totale e rispetto al gruppo
di controllo e meno sonno nello stadio 2, mentre vi era una forte
tendenza (p<0.06) alla diminuzione del sonno non-REM. Lo stato
di deprivazione da sonno più o meno selettiva, come argomentato in
[16], può essere la causa di deficit cognitivi, come quello di memoria,
o alla base della mancanza di motivazione a svolgere alcuni compiti
da parte dei consumatori di MDMA. La ricerca neuropsicologica dovrebbe
mettere a punto uno screening, in modo da analizzare le ipotesi sull'origine
dei deficit cognitivi che possono derivare dall'uso continuato di
MDMA.
Riferimenti bibliografici
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